La tessitrice





di Luigina Marone





«Quando il cielo baciò la terra nacque Maria, che vuol dire la semplice, la buona, la colma di grazia: è il respiro dell'anima, l'ultimo soffio dell’uomo». Alda Merini


Tutto è partito da un compito scolastico.
Mia nipote Bruna sta predisponendo un book fotografico e da lì, parlando con sua mamma Donatella, le e' venuta l'idea di raccontare la storia della sua famiglia, legata da un filo rosso. Simbolicamente vuole rappresentare ciò che li unisce, come se ciò che accade a ciascuno di loro, può cambiare le sorti dell'altro. Così in questi giorni sta unendo fili e foto, tra mamma, papà e fratelli, per raccogliere materiale, costruire e documentare questa sua idea.

Poi …
Sabato 17 novembre, sono alla Scuola Libera di Rudolf Steiner di via Pini a Milano, in viaggio studio con le educatrici della Provincia di Bergamo. Al termine della visita, mentre mi aggiro ancora un po' in tutti gli ambienti della scuola curiosando nelle aule che accolgono i bambini e i ragazzi sino alla fine delle medie, raccolgo idee e pensieri. Gli ambienti parlano e dicono già tante cose dell'esperienza che viene attraversata all’interno. 

All'intero di alcuni laboratori mi soffermo a parlare con le docenti e tra questi, quello di tessitura,  trovo un'insegnante intenta a preparare il compito per i suoi allievi, contando con precisione quadrati e segnando confini. Parliamo di tessitura e di come attraverso essa si possono insegnare tanti aspetti legati alla vita, del modo in cui ognuna di noi ha vissuto da piccola e vive questa dimensione del lavoro manuale. Stiamo narrandoci aneddoti di piccole storie, quando ad un certo punto lei mi parla della Madonna del gomitolo e subito, incuriosita, la collego al lavoro di Bruna e al filo rosso della sua famiglia. Poi, nella sua descrizione, aggiunge che esistono quadri che la rappresentano e fa riferimento ad uno in particolare, dove il gomitolo viene offerto al figlio, quasi a donare simbolicamente il vestito e il Verbo.

Contemporaneamente, mi rendo conto di come si può continuare ad imparare restando presenti a ciò che ci accade, permettendosi di approfondire sempre di più aspetti del materno e del vivere. Penso al gruppo di amiche di Amazzone o Penelope, con le quali da molti anni, esploriamo e trattiamo tantissime sfumature dell'essere donne e madri.

In questi giorni ho proseguito la ricerca in internet  trovando diversi dipinti della Madonna del gomitolo, due di questi li ho proposti con il post, e alcuni "discorsi" che descrivono il senso e il significato che mi piace qui condividere.


«Il Figlio dell'Altissimo venne e dimorò in me, ed io divenni sua madre. Come io ho fatto nascere lui – la sua seconda nascita – così anch'egli mi ha fatto nascere una seconda volta. Egli indossò la veste di sua madre – il suo corpo; io indossai la sua gloria» (Inni sulla Natività). Così sant'Efrem il Siro evoca la nascita di Gesù, parlando del corpo come di un abito e richiamando il titolo di "tessitrice", attribuito anticamente a Maria dalle Chiese siriache. 

Il tema della "Madonna operosa" ricorre spesso nell'arte medievale: la Madre è raffigurata solitamente con il fuso tra le mani o con un cesto da cucito vicino ai piedi, intendendo in questo modo coniugare l'umanità con la sacralità. Si inserisce in tale serie di quadri "domestici" la scena dipinta da Vitale degli Equi, un artista bolognese del Trecento: la "Madonna del ricamo", in cui Maria, con ago e stoffa tra le mani, viene distolta dal suo lavoro dal piccolo Gesù, che cerca affettuosamente di richiamare l'attenzione della mamma, appoggiando la manina sul suo braccio e rivolgendole un tenero sguardo.

La stessa dolcezza che si può riscontrare nell'invito di san Giuseppe Cafasso, che così esortava i fedeli: «Nelle feste di Maria presentiamole alla sera un mazzetto di mortificazioni, e diciamole: O Madre mia, vi presento questo mazzetto. Sono foglie secche, proprio come fanno i bambini che raccolgono quanto trovano per la strada, e lo portano alla mamma». Da questi gesti semplici traspare il senso di abbandono istintivo che un bimbo avverte fin dalla nascita per la persona che gli ha donato la vita e che lo accudisce, quella fiducia che il poeta indiano Tagore ha definito «un uccello che canta quando la notte è ancora buia».

Ed è soprattutto nei momenti di tenebra che si sente il bisogno di una "presenza" amorevole, quella che fa dire ad un giovane riguardo alla mamma scomparsa: «Parlo con lei e le racconto di me». E alla domanda perplessa: «Ti risponde?», aggiungeva: «So che mi ascolta e mi basta».



Dedico questa ricerca a noi di Amazzone o Penelope e ai nostri gomitoli sulla scena che d'ora in poi guarderò in modo diverso. Mi sembra che tra i volteggi un po' funamboli, ciò che ci lega è la possibilità e il desiderio di continuare ad esplorare il Verbo umano, nei nostri discorsi, nelle nostre riflessioni e con voi che ci seguite, incoraggiandoci a proseguire.

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