Patchwork

di Monica Simionato*



Il patchwork è un’arte che nasce dalla necessità di utilizzare avanzi di stoffe riciclate da vecchi vestiti e camicie per confezionare calde trapunte per proteggersi dal freddo in un’epoca in cui le stoffe erano scarse ed erano un lusso che pochi potevano permettersi. Con la tecnica  del patchwork le donne riuscivano a realizzare delle bellissime e calde coperte cucendo insieme e trapuntando piccoli pezzi di stoffe per tenerle unite, le trapunte patchwork venivano imbottite con foglie secche e carta e il trapunto doveva essere molto stretto e ravvicinato per poter tenere fermo il materiale usato per imbottitura. Ogni coperta raccontava una storia…”

Giorni vicini al mio compleanno, sarà che la cosa quest’anno mi fa un certo effetto e il mio sguardo prende quella direzione selettiva per cui ne rintraccio continuamente rimandi, ma capita spesso di incontrare, nel mio lavoro, persone che mi portano “lotte con il tempo”. Non propriamente guerre, ma conti aperti, scivolamenti, asoncrinicità, fatica a “tenere il passo”, rimpianti, amarezze, paure. Che si tratti di giovani adulti (spesso intorno ai vent'anni) o di giovani anziani (persone intorno ai sessant’anni) mi pare di ritrovare alcune costanti.

Insomma, tutto un variegato mondo “parabolico”, se intendiamo con il termine “parabola” la narrazione presa a prestito dagli studi sulla Biografia umana, secondo la quale l’uomo“discende” sulla terra. Mi capita di usare questa immagine in terapia, a volte come un seme gettato in un campo che potrà appassire oppure radicarsi e svilupparsi in seguito. Il collocarsi “al di qua” o “al di là” della metà della parabola porta, secondo me, una serie di differenze anche in quest’epoca. In un periodo, cioè, di tendenza alla “liquidità” che oscilla tra la rigidità e lo stereotipo spesso nostalgico del “ai miei tempi” e l’identità fluida spinta al paradosso. Eppure, anche se potrà suonare politicamente scorretto, almeno per la mia esperienza, il numero degli anni pur essendo soggettivo, è e non è ininfluente.

Perché quando la vecchiaia inizia ad affacciarsi all'orizzonte qualcosa nella percezione del tempo cambia e può essere l’occasione per un lavoro sui tempi del tempo. Con gli anni, la nostra casa interiore (ma anche quella esteriore) accumula oggetti, si riempie di ospiti inattesi e spesso sgraditi, di residui, dimenticanze che improvvisamente ricompaiono, presenze fantasmatiche che generano inquietudini.

La navigazione non solo non sembra più lineare, ma spesso appare frammentata e incoerente, disturbante. Da qui le lotte, a volte guerre aperte. Ma i "conti non tornano" e le dimensioni temporali canoniche “passato, presente, futuro” non bastano più e si riaffaccia il sogno-bambino di un sentimento oceanico (come lo definì Freud) di unione alle acque prenatali, quando il tempo non era ancora. 

Insomma, un grande caos, uno spazio magmatico, una fucina dove scoprire la potenza non certo rassicurante di Efesto ma dove lo sguardo e il modo di guardarlo può certamente fare la differenza.
E allora che si fa? Forse alternare il viaggio per mare ad approdi temporanei, a cuciture di scampoli di colori diversi. Essere una coperta infinita, dove si alternano minuscole morbide mani bambine, mani grandi e nodose, a quelle ruvide, con pieghe e cicatrici. Mani visibili ed invisibili. Il disegno che si compone non lo vedi, ma lo puoi intuire.

Ed essere parte di questo movimento laborioso che intreccia fili di sogno, lische di pesce e coralli.

Ogni giorno un tassello, ogni bivio una scelta, destini, casi. Il tempo che fugge, il rimpianto, le mancanze, le amarezze. Cosa significa crescere se non invecchiare un po',  farci la guerra e anche la pace? Farsi un disegno a più dimensioni, ricucirlo, e farci giaciglio, scomodo duro tenace e pur sempre guanciale di sogni, anche infranti, pieni di vita.

* psicologa 





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