Orizzonti materni

 


di Raffaella Dellera

 

Nel post di qualche giorno fa Luigina Marone volge lo sguardo alle sfumature che “Maternità possibili” apre sulla possibilità di essere madri e materne attraverso dimensioni che non passano necessariamente attraverso la generazione biologica di figli. E cita un articolo di Michela Marzano.

Questo mi ricorda che Michela Marzano e le possibili vie del materno sono due finestre che si intrecciano nella mia storia, con il materno possibile e con il gruppo culturale Amazzone o Penelope.

 

Nel suo romanzo “L’amore che mi resta” Michela Marzano ci accompagna nella storia di Daria, donna con un grande desiderio di maternità, che fa i conti con la difficoltà di generare e con il giudizio sociale sulle donne e sulla maternità.

E una figlia arriva, attraverso il complicato percorso dell’adozione. 

Ma Daria dovrà poi fare i conti con il dolore più grande che esista, quello della perdita della propria figlia, quel dolore così indicibile che non esistono neppure parole per definirti quando lo attraversi.

“E’ sempre la stessa litania, ogni giorno, ogni persona: hai figli? Quanti figli hai? Si dovrebbero vietare certe domande. Oscene. Irricevibili. Indipendentemente dai figli che hai o non hai, che hai perso o hai ancora, che hai amato o hai subito. Li hai, ma non li volevi. Non li hai, ma faresti qualunque cosa pur di averli. Li avevi e ne hai perso uno. Allora, quanti ne hai? Uno? Due? Erano due e ora è uno? Sei madre? Non lo sei più? Chi sei?”

 

Nel romanzo “Idda” conosciamo invece Alessandra, che ha dovuto fare i conti con la tragica morte della madre, evento che l’ha allontanata dalla propria terra e dalla propria famiglia e l’ha portata a scegliere di non avere figli.

Ma l’incontro con la malattia di un’altra donna entrata a far parte della sua vita porta Alessandra a rimettere tutto in discussione, a fare un viaggio di memoria e di identità che le permetterà di vedere con altri occhi se stessa e i propri desideri.

“…In fondo nessuno è capace di essere un buon genitore, mi dico, ognuno fa come può e si adatta all’esistenza, basta solo fare pace con se stessi e con il proprio passato, anche se il passato non passa mai, e la pace è sempre impastata di rimpianti e recriminazioni. Non era un sogno: quel bimbo che per tanti anni avevo rifiutato era la cosa più bella che potesse capitarmi.”

 

Come per Alessandra e Daria, il mio rapporto con la maternità è stato complesso e controverso: quando è nato il progetto del libro “Maternità possibili” non sono riuscita a lasciare una traccia scritta. “Madre” era per me allora una parola vicina a dolore e profondo rimpianto, a desiderio e paura, a giudizi importuni e domande inopportune. Era impossibile per me parlare di maternità, senza essere più figlia e non sapendo se desiderassi diventare madre.

 

Leggere il libro, ascoltare le storie delle donne e dei loro “diversi materni” mi ha aiutato a fare spazi nuovi dentro di me.

Anche il percorso con il gruppo Amazzone o Penelope è stato occasione per avvicinare il tema della maternità da prospettive differenti, ognuna con tante emozioni e sfumature.

E oggi anch’io, attraverso le voci delle autrici e con la mia posso scriverne, permettendomi di stare nelle ambivalenze, accogliendo tutte le luci e le ombre.

 

 

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