RAGAZZI CONNESSI -I PARTE-

di Monica Simionato



Un altro anno scolastico si chiude, all'interno di un altro periodo impegnativo e davvero "strano". Questa pandemia sta mettendo a dura prova le persone, le famiglie, le organizzazioni e i "sistemi".

https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_complesso

E se questi sistemi però potessero "giocarsi" questo evento mondiale negativo per cambiare? Sappiamo che, infatti, i sistemi possono crescere, tagliare i rami secchi, provare a rifiorire...anche (o forse soprattutto)  durante i periodi di crisi. Come sta accadendo in questi ultimi anni, durante le crisi emergono e si svelano le criticità magari già presenti in precedenza anche se meno evidenti. Che la crisi sia anche un'opportunità lo sappiamo ormai quasi tutti...la crisi è qualcosa di pericoloso ma rappresenta anche un'opportunità. O meglio, ce lo diciamo, lo sappiamo a livello teorico, ma non sempre lo traduciamo in azioni concrete.

Lo si vede in diversi sistemi: quello sanitario che sapevamo da tempo essere in difficoltà e che con la pandemia ha fatto emergere in maniera molto evidente sia i punti di forza che le molte fragilità, quello economico e politico (qui non mi dilungo, non è il mio ambito e andrei fuori tema), e anche nel sistema scolastico.

Da anni osservo, come professionista che lavora con i ragazzi, un crescendo di difficoltà di "inclusione" delle differenze a Scuola e questo non posso non notare vada di pari passo con piani formativi molto belli, complessi, ricchi, diversificati (anche di una certa lunghezza, tanto che a volte mi viene il dubbio di essere una delle poche persone esterne alla scuola che li legga per intero) in cui si dichiara spesso l'esatto contrario di ciò che si fa.

E le difficoltà che noto non sono solo con le forme di disabilità certificate ma con tutte quelle che oggi si chiamano "neurodiversità", “funzionamenti”, per cui anche ad esempio con le "plusdotazioni" ovvero con i ragazzi che hanno livelli di intelligenza superiore alla norma.

Senza scomodare sistemi diagnostici neuropsicologici, mi è capitato di recente di incontrare un docente che aveva abbassato il voto di una materia in maniera significativa perché lo studente "era andato oltre", avendo frequentato un corso pomeridiano della sua materia (sempre organizzato dalla stessa Scuola ma con un professore diverso, un collega di quello di classe) e quindi il sapere era aumentato ma non era stato valorizzato, come se non solo non servisse e non c'entrasse con la Didattica ma fosse di intralcio. Per cui questo ragazzo ha avuto una sufficienza (pur avendo in precedenza avuto una media molto alta) perché negli ultimi compiti in classe, in sostanza, aveva scritto di cose che non aveva spiegato il docente di classe, erano cose corrette ma sarebbe "andato fuori tema". Certo il ragazzo, diciassettenne, ha interloquito con il docente e il tutto si è chiuso con la magica frase che "al di là della media matematica il professore esprime un suo insindacabile giudizio".

Effettivamente il piano è un altro, non è andare a “sindacare” ma se ogni scelta si basa su dei presupposti è importante riuscire a nominarli. Anche così un sistema va in "cortocircuito". Infatti, se come Scuola, nei "piani formativi" esibisco e promuovo progetti di approfondimento ed esperienze in questo senso e poi questo, in pratica, viene restituito come d'intralcio all'apprendimento di concetti base che il docente vuole trasmettere, si rischia di perdere la rotta ingenerando confusione.

Questi "annodamenti" sono molto frequenti all'interno dei sistemi complessi che, per definizione, sono caratterizzati da non-linearità, inciampi e complicazioni, necessitando di verifiche in itinere e retroazioni. Ma il punto non è che sia capitato, ma non averlo utilizzato. Non avendone consapevolezza, non accorgendosene, per cui il Sistema (docente, organizzativo, discente) non coglie quest'occasione per farsi delle domande non per mero esercizio teorico ma per imparare da quanto stava accadendo. Come? Facendosi delle domande e quindi praticando "riflessività": i docenti delle stesse materie ma di altre classi sono a conoscenza dei reciproci programmi? Cosa considerano "base" tra i concetti? E questo gli studenti lo sanno e se gli è stato detto, l'hanno capito?

Ho concluso da poco la co-conduzione di un gruppo di adolescenti (16-18 anni) per una decina di incontri quasi esclusivamente da remoto di sostegno emotivo e di apprendimento in questo periodo "pandemico". Uno dei momenti più belli e intensi (ce ne sono stati molti, per la verità) è stato quando abbiamo incontrato un gruppo di adulti con disabilità per quella che avevamo scritto nel progetto come "Intervista inclusiva". I partecipanti al gruppo erano adolescenti davvero "in gamba", per la maggior parte molto tecnologici, e gli abbiamo chiesto se a Scuola avessero sentito la parola "Inclusione". Ci ha stupito che solo pochissimi di loro avessero sentito nominare prima questo termine e che chi lo aveva sentito non fosse in grado di darne una definizione (abbiamo quindi dedicato un tempo ed uno spazio ad hoc). progetto "Connessi a chi"?

Questo esempio mi ha fatto pensare ancora allo scollamento tra quanto dichiariamo e scriviamo sui documenti ufficiali, sui Siti (in genere molto belli) delle Scuole, degli Enti, e la loro traduzione nella pratica. Tra operatori, infatti, la parola inclusione sembrerebbe abusata da tanto venga ripetuta e nelle sue svariate forme ma, nella pratica? Che spazi ci sono per tradurla, per far vivere esperienze che la rendano concreta e, poi, di verificarne l'acquisizione? In forma diversa, può credo valere anche per la matematica, per italiano, per le lingue straniere.

A qualcuno interessa che i ragazzi imparino? (che studino giustamente si...ma che comprendano quanto eventualmente studiano). E nel "qualcuno" metto anche la componente-genitori.

A me questo "scarto" profondo ha aperto un mondo...qual è l'oggetto dell'insegnamento? Dichiarare e mostrare un certo numero di incontri, di verifiche, di moduli che "giustifichino" l'impegno orario? Si parla da tempo, infatti, dell'eccessiva "burocratizzazione" della Scuola che chiede sempre più agli insegnanti di compilare fogli o moduli su moduli "sacrificando" l'insegnamento.

E, ancora, è possibile partire dai tanti "scarti" emersi in maniera più forte durante la Pandemia per porsi la domanda su cosa sia l'insegnamento e cosa significhi trasmettere un sapere o una conoscenza?

Qualcuno, ogni tanto se lo domanda, cosa si intende con "insegnamento" e se se lo domanda lo fa da solo? E' previsto ogni tanto un confronto su quanto si fa (e si fa tanto a Scuola, almeno per la mia esperienza di professionista che incontra ragazzi ma anche insegnanti, oltre che come genitore).

    ...continua...


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