SUL VIALE DEL TRAMONTO

di Monica Simionato 


«Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto»
Borges

Il sottotitolo di questo scritto potrebbe essere “riflessioni tra un’influenza e l’altra (che, per noi, il vero "influencer" di questi giorni, è un antipatico virus stagionale e non un addetto a creativi mestieri postmoderni).

Tra una tisana fatta per la figlia, una “schiscetta” preparata per la suocera ammalata, rimane un tempo per pensare. Io debbo essere “poco romana” nel senso che è nel fare, anche spicciolo, che mi vengono le intuizioni migliori, più che nell’ozio. Non perché pensi che questa lo sia, ma così, per dirlo in generale…io sono più “ora et labora”, rappresentante di una “working class” che oltre al pane guardava sempre anche alle rose (profumo e spine comprese). Ecco, però anche il colore, la bellezza, l’ispirazione e l’intuizione che sembra non avere uno scopo, da approfondire per diletto o, anche solo per aprire parentesi immaginarie.

Insomma, vagheggi da chi sta curando qualche piccolo fastidio stagionale, tutto qua.
In questo poco, un pensiero potente legato sempre al tempo e alla bellezza. Anche alla “terribile” bellezza  di questo intreccio (aggettivo non scelto a caso).

Leggevo in questi giorni di una scrittrice e femminista che diceva che le donne saranno davvero “emancipate” quando non avranno più troppa paura di invecchiare. Non è una citazione letterale, non trovo più l’articolo di Lidia Ravera ma la sostanza è questa.


In uno dei momenti di pausa, guardando in quel mercato virtual-ispirativo di immagini che è Pinterest, mi imbatto in questa foto di Vanessa Redgrave.


E’ l'immagine di un'attrice famosa ma non troppo, bella di una bellezza magnetica eppure discreta. Poco artefatta, il volto e la pelle, in particolare, appaiono solcate da segni da interpretare, sembrano tracce e strade che portano da qualche parte.

Quella dell’invecchiamento è una grande partita, nel passato riservata alle classi privilegiate, che potevano prevenirne gli acciacchi oltre che curarsi meglio, ora pare essere alla portata di tutti.

Ma la “qualità” del tempo? Ho visto una sola nonna invecchiare e farlo anche bene, ed è la mia nonna Martina, che è mancata a 99 anni. Una delle donne più vitali che io abbia mai conosciuto, vedova, risposata, di nuovo vedova, quando perse il suo secondogenito smise di tingersi i capelli e, pur curandosi sempre, lo fece in maniera diversa, chissà, forse decise che fosse arrivato per lei il momento di concedesi  un po’ di vecchiaia.

Così scrive Hillman:

“Come il daimon – il codice dell’anima – presiede alla rappresentazione di noi nell’età giovane, così il carattere delinea l’immagine di noi nell’età senile, vale a dire «ciò che resta dopo che ce ne siamo andati». Ma se il carattere sopravvive per immagini, invecchiare non è un mero processo fisiologico: è una forma d’arte, e solo coltivandola potremo fare della nostra vecchiaia una «struttura estetica» possente e memorabile, e incarnare il ruolo archetipico dell’avo, custode oculato della memoria e difensore non bigotto della tradizione – ovvero il compito cui siamo chiamati in tarda età. E non sarà secondaria, nell’adempimento di tale compito, la forza di impatto del nostro volto, che dal carattere è stato plasmato e del carattere è l’immagine più rivelatrice”

La danza tra la forma e la sostanza è sempre molto affascinante e mi viene da pensare, guardando i volti sfigurati di alcuni uomini di potere che sembrano caricature, che la parità talvolta possa essere una trappola. Che il voltarsi indietro, a modelli "giovanili" per paura di perdere la forma "perfetta" e quindi il proprio "posto" nel mondo, non sia l'unica via possibile.

Forse si tratta proprio di una forma d'arte, l'arte di vivere al tramonto. E siamo tutti apprendisti.




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